Tre salette collegate sono dedicate alle oreficerie, agli oggetti sacri e ai paramenti liturgici, ordinati sulla base delle chiese di appartenenza, di cui i pezzi più antichi sono quelli provenienti da San Lazzaro a Lucardo commissionati dai Gianfigliazzi, ricca famiglia di usurai proprietari del castello di Santa Maria Novella nei pressi di Certaldo; fra questi è il calice del 1496 adattato a pisside nel Settecento e la pace con un’articolata raffigurazione della Madonna col Bambino con ai piedi due angeli musicanti e sulla lunetta dell’architrave la Resurrezione di Cristo, attribuita allo scultore e architetto Antonio Averlino, detto il Filarete: costui fu portavoce a Firenze dell’arte orafa appresa nel corso del suo apprendistato presso la bottega del Ghiberti. Il pezzo più antico della raccolta è il duecentesco turibolo di San Gaudenzio a Ruballa, non prezioso nella materia ma per la sua rarità.
Le argenterie barocche, eseguite in parte dalle botteghe fiorentine in auge nel XVIII secolo, si accompagnano nella seconda saletta ad un nucleo di oggetti neogotici provenienti dalla nuova Chiesa di San Tommaso nel Borgo, la parte bassa e moderna di Certaldo.
La raccolta vanta anche un nutrito gruppo di croci astili in rame dorato databili dal XIII secolo, ricavate da lastre di rame incise e dorate di minimo spessore, così chiamate perché munite di un lungo prolungamento del braccio inferiore, atto ad infilare le croci su di una lunga asta da innalzare durante le processioni, o da esporre ai lati dell’altare durante i riti sacri per rendere partecipi i fedeli al valore cristiano del sacrificio del Figlio di Dio sulla terra. In uso nel nord Europa, grazie all’arrivo di modelli o di artisti transalpini, queste croci si diffusero ampiamente in Toscana, dando vita a manifatture dedite alla loro produzione.
Fra queste è la pregiata croce astile, in rame cesellato, inciso, dorato, proveniente dalla chiesa di Santa Maria a Casale e databile al terzo quarto del XII secolo.
Si tratta della più antica croce astile della raccolta museale, documentata sin dalla fine del XV secolo, che presenta ai fedeli la natura divina e umana del Salvatore: la vittoria sulla morte e la speranza della resurrezione con la figura a tutto tondo del Christus triumphans nella faccia anteriore, con sui bracci laterali raffigurati ad incisione Maria e Giovanni Evangelista dolenti, accompagnati in alto da un angelo e in basso il monte Calvario con il corpo di Cristo avvolto nel sudario; il dolore dell’uomo condotto alla morte attraverso il martirio il Christus patiens, raffigurato ad incisione nel verso posteriore con i simboli degli Evangelisti nei terminali della croce.
Comunemente creduta prodotta da una bottega vicina a quella renana di Ruggero di Helmershausen, monaco benedettino fra i più grandi orafi transalpini, nuovi studi suggeriscono cautela su tale attribuzione per via del nutrito nucleo di croci, simili per iconografia e caratteristiche tecniche, individuate in vari luoghi della Toscana centro-orientale. Gli studi più recenti suggeriscono che si tratti di un manufatto prodotto intorno al terzo quarto del XII secolo all’interno di una bottega toscana, partecipe al rinnovamento delle arti grazie alla mescolanza di popoli e di stili.
Fra le opere più pregevoli esposte in questa sezione del museo è infine il busto reliquiario della beata Giulia realizzato in argento sbalzato, cesellato, bulinato dall'orafo Paolo di Andrea Laurentini (1652-1653) su commisione di Domenico Conti, frate agostiniano del convento di Santo Spirito di Firenze.
Il naturalismo dei tratti della beata lascia ipotizzare come il maestro abbia potuto ispirarsi ad un'antica immagine della beata oggi perduta.
